giovedì 5 dicembre 2013

Democrazia Paritaria, un tabù difficile da sfatare

Le donne oggi hanno una nuova consapevolezza, sono sempre meno disposte a fare rinunce, vogliono contribuire a costruire le condizioni per poter essere davvero libere e responsabili; lo diceva bene Alain Touraine, vogliono essere artefici di se stesse e del loro destino.


La lotta per il superamento delle differenze di genere passa necessariamente da una maggiore partecipazione delle donne alla vita politica e amministrativa. Il livello di rappresentanza femminile è uno dei criteri con i quali si misura il grado di civiltà di un'istituzione.  In questo senso, la totale assenza di donne elette in seno al Consiglio Regionale della Calabria nel 2010 ha rivelato quanto sia lungo il percorso da compiere nella nostra regione per un'effettiva parità di genere. Gli strumenti legislativi, in primis quello della doppia preferenza, potrebbero rappresentare una soluzione per il riequilibrio della rappresentanza nell'ottica di una democrazia paritaria.

«Democrazia paritaria» non è una formula vaga, ma ha una sostanza culturale, giuridica e politica molto pregnante che dà forza al principio di eguaglianza. Coincide con la costruzione comune delle istituzioni democratiche, con la cooperazione nelle attività sociali e con la condivisione del lavoro di cura. In sostanza la democrazia paritaria mira alla condivisione del potere pubblico e delle responsabilità private in una democrazia che sancisce nella sua Costituzione  l’esistenza sulla scena pubblica di due generi che godono di eguali opportunità.
Lo scrimine è sostituire quella che la sociologa Marina Cacace definisce “matrice monosessuale”della politica, con“una nuova matrice della politica, che accolga la differenza sessuale. L’ingresso delle donne nella sfera pubblica consente loro di divenire “visibili” e uscire “dall’ombra”, dove per troppo tempo sono state confinate.

Da questo consegue che il principio tradizionale della giustizia sociale da solo non basta più in ogni attività legislativa, è necessario arricchirlo con il principio della giustizia di genere, che tiene conto delle ripercussioni che le misure sociali, economiche, legislative hanno sulle donne.

Ma un partito di sinistra come il PD, nato dall'incontro di culture politiche nelle quali le donne hanno ricoperto ruoli apicali e combattuto battaglie che hanno reso questo Paese più civile, non può attendere un'imposizione legislativa per garantire un effettivo coinvolgimento femminile.
Il tutto ovviamente partendo dalla ricostruzione del tessuto di relazioni con tutti quei movimenti e quelle associazioni che in questi anni sono stati il mezzo, al di fuori dei partiti stessi, attraverso cui le donne hanno agito per la difesa delle loro prerogative.
La legge 215 del 2012 sulla doppia preferenza di genere alle Elezioni amministrative può contribuire ad alimentare una cultura che in passato è stata fortemente osteggiata a causa sia della crisi del bipolarismo, sia per l’attuale legge elettorale, che premia la fedeltà al capo piuttosto che le competenze, dunque svilisce la capacità di rappresentanza dei parlamentari in generale e delle donne in particolare.
Il World Economic Forum ogni anno stila la classifica sulla parità di genere a livello globale, sciorinando i dati ufficiali sulla disuguaglianza di genere nel mondo. E l’Italia? Ha raggiunto il 71° posto, non certo una posizione edificante. Tuttavia, rispetto allo scorso anno abbiamo guadagnato nove posizioni, anche grazie alla cospicua presenza di donne in Parlamento, che in questa legislatura hanno raggiunto il 30%. Ma non basta. Bisogna diffondere una cultura diffusa che a cascata coinvolga le donne a tutti i livelli, facilitando, con mezzi temporanei, il loro coinvolgimento in ogni ambito.
Le donne sono il più grande fattore di cambiamento di questo secolo e le donne italiane sono, come disse qualcuno, il più eclatante ammasso di talenti sprecati del mondo Occidentale. Smettiamola di discriminarle e frantumiamo questo maledetto soffitto di cristallo che le blocca. A beneficiarne non saranno solo loro, ma l'intera società.

venerdì 22 novembre 2013

Anche la Calabria piange, ma...

Scrive Fiorella Mannoia sulla sua pagina fb: questa mattina Santa Maria di Catanzaro era così... anche la Calabria piange. Dai media non si sa nulla.

Già. E pensandoci bene, non credete che dopo quello che è venuto a galla, e se qualcuno fosse sordo, almeno dopo l'ultimo servizio delle Iene! riguardo a tutto quanto raccontato QUI...
Non credete che almeno il giorno dopo quel servizio, che racconta che bomba atomica è seppellita sotto (quasi) tutto il territorio della Campania, i giornali avrebbero dovuto essere tutti occupati solo da quello?? dall'esame dei fatti, agli approfondimetni, alle interviste ai politici? e non credete che tutti i politici dovrebbero mettere tutte le loro ridicole beghe nel cassetto, e iniziare a lavorare notte e giorno per trovare vie dì uscita?
No. Nessuno nemmeno raccoglie la cosa, la politica un'ameba molle che sa solo perpetuare se stessa. Apri i tg e ti cadono le braccia.

mercoledì 20 novembre 2013

"Senza chiedere il permesso" a Cosenza e successive riflessioni

A metà novembre, insieme ad altre attiviste e con la collaborazione preziosa della Direttrice del Centro Women’s Studies “Milly Villa” Giovanna Vingelli, abbiamo ospitato a Cosenza Lorella Zanardo, autrice del dirompente video “Il Corpo delle Donne”, visualizzato da milioni di utenti, e del Libro “Senza chiedere il permesso" (Feltrinelli).  
Ora, al centro del dibattito in questi giorni, la mercificazione del corpo delle donne diventa anche oggetto di un intervento del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano il quale chiede che le "donne siano rappresentate con sobrietà e dignità nei media, così come si è impegnata a fare la Rai". Nei mesi scorsi anche la presidente della Camera Laura Boldrini aveva denunciato "lo scandalo" di quegli spot che perseverano nella rappresentazione iper abusata dell’immagine femminile accostata a fornelli, detersivi o nudità ad uso e consumo di maschi e mariti. Il che ci ricollega al tema trattato dalla Zanardo e dal nostro recente incontro.
L’uso del corpo delle donne in televisione è appunto il tema predominante del progetto che la Zanardo sta portando avanti nelle scuole di mezza Italia, promuovendo incontri interattivi con studenti delle scuole secondarie. A Cosenza la blogger milanese ha tenuto una lezione nell’ambito del Master ‘Donne, politica e istituzioni’, finanziato dal Ministero per le pari opportunità presso l’Università della Calabria ed ha successivamente presentato il suo libro alla Libreria Ubik al centro della città dei bruzi. Alcuni spunti del libro sono particolarmente interessanti e meriterebbero una riflessione più approfondita. La Zanardo, riferendosi alla società attuale, riscontra una sorta di ‘disabilità discorsiva’ che si traduce in ‘disabilità immaginativa’, ovvero l’incapacità di discutere, interrogarsi o semplicemente immaginare una società diversa. E’ come se ci fossimo assuefatti all’idea che ormai nulla può essere stravolto, modificato, rivoluzionato. Il tramonto delle utopie, mi verrebbe da dire, mestamente.
Ma un tema che mi affascina e che compare spesso nel libro è la ‘Violazione del patto intergenerazionale’, con una Zanardo fortemente critica nei confronti della sua generazione. Si parla di adulti egoisti ripiegati su se stessi, di una classe politica che non ha dotato la scuola italiana di metodi innovativi, ma che ancora si rifà a modelli vecchi e inadeguati, che mortificano lo spirito critico, che non incentivano le capacità organizzative e manuali degli studenti ma che soprattutto non tengono conto degli stimoli e delle sollecitazioni a cui i giovani oggi sono soggetti.
Una scuola insomma che è  incapace di proporsi come modello educativo differente ed alternativo alla televisione.
Viene citato in proposito anche un passo del Libro: ”Una tv per tutti”, in cui si sottolineano i tre “effetti fondamentali dei modelli televisivi proposti nei messaggi pubblicitari: il materialismo, il conflitto con i genitori e l’infelicità”.
Eppure il tema ogni tanto compare in tv o sui giornali. Era proprio Giorgio Napolitano che nell’Aprile del 2012 esortava la classe politica a  «porre le basi per stringere un patto intergenerazionale fondato sulla cooperazione, sull’integrazione e sulla coesione (…) per costruire una società più giusta più aperta e moralmente e civilmente più viva». Parole cadute nel vuoto?
Mi ha colpito questo aspetto del libro perché chi come me fa politica in un c.d. partito ‘tradizionale’ riscontra l’egoismo di cui si parla quotidianamente, non solo nell’accesso alle cariche elettivo, che a mio avviso è l’ultimo dei problemi, quanto nella possibilità di poter maturare un esperienza, di poter accedere a quella che una volta veniva definita gavetta, ripudiando la pratica della cooptazione che ahimè ha creato dei veri e propri mostri mediatici privi di spinta ideale o di qualsivoglia spirito identitario.  Ma  questa generazione di ‘padri famelici che si giocano il futuro dei figli’ la si riscontra anche nella lettura degli ultimi dati ISTAT sulla disoccupazione giovanile che raggiunge il 39,5%  in Italia. Per non parlare del picco del 51% per le giovani donne del Mezzogiorno.
Eppure, a me pare che i giovani la loro parte cercano tutti i modi di farla: in Italia vige  un sistema pensionistico fondato sul criterio della ripartizione, ossia  gli attivi finanziano le pensioni in essere, confidando che ci saranno altri lavoratori che pagheranno le loro pensioni, quando verrà il loro turno , grazie proprio ad un patto intergenerazionale garantito dallo Stato. Beh, con i dati suddetti e con l’assurdo aumento dell’età per andare in pensione come si pensa di poter raggiungere l’equilibrio tra entrate e uscite,? Facile, attraverso imponenti trasferimenti dal bilancio statale. E queste risorse non vengono sottratte anche a noi?! In questo contesto mi piace molto che nel libro ci siano continui moniti a lottare, ad appropriarsi della consapevolezza che siamo una generazione in credito e che abbiamo bisogno di cambiare il mondo che ci circonda stravolgendo anche le nostre certezze: Mirko Kiave in Gravità dice: ”Le vere manette non stanno ai polsi ma dentro la mente. Non rivoluzioni se non ti rivoluzioni". 

Maria Cristina Guido

Sono Maria Cristina Guido, ho 31 anni e sono archeologa, museologa, specializzata nell’insegnamento secondario e precaria. Avevo già contribuito a questa rete della Politica femminile con un post sul blog Italia; ora parteciperò come autrice su questo blog della mia regione, la Calabria.
Mi sono accostata alla politica con la curiosità di una bimba e già nel 1990 seguivo mio padre, primo segretario del PDS, partecipando alle riunioni nella storica sezione del mio paese, Spezzano Sila. L’anno prima un evento memorabile mi colpì particolarmente, ovvero per la prima volta dall’unità d’Italia vinse le elezioni nel mio comune la Democrazia Cristiana. Ricordo i miei genitori e gli amici di famiglia, i compagni del PCI in preda alla disperazione; l’impatto emotivo nel vedere che qualcuno poteva addirittura piangere per una sconfitta elettorale fu in me molto forte, tramutandosi in indignazione.

sabato 7 settembre 2013

Dalla Calabria per la pace: no alla guerra in Siria e ovunque

Sistemiamo i conflitti con la pace. No alla guerra contro la Siria: e non certo per motivazioni ideologiche o di schieramento: fra i litiganti, qui non c'è nessuno che si salva. I soli da salvare erano i cittadini pacifici che manifestavano contro le ingiustizie di Assad: e loro sono stati - come sempre - schiacciati. In questo senso la Siria - come si dice qui - è davvero uno specchio del mondo.
Dunque non perché ci sia chi ha torto e chi ha ragione: ma perché è necessario cercare strade nuove - per questo rimandiamo a questo post
Ricordando le parole di Maria Montessori: "Quando parliamo di pace, con questa parola noi intendiamo non una tregua parziale tra nazioni separate ma uno stato permanente che abbracci l'umanità intera".

Cambiamo tutto - anche con metodi nuovi.


domenica 14 luglio 2013

La Presidente della Camera Boldrini in Calabria

In viaggio verso Rosarno per incontrare le sindache minacciate dalla ‘ndrangheta e i cittadini della Piana di Gioia Tauro che chiedono lavoro e sostegno: così scriveva Boldrini commentando questa foto postata sul suo profilo di facebook.
 
Sono venuta a Rosarno perchè invitata dal sindaco, Elisabetta Tripodi, e dalla sua collega di Monasterace, Maria Carmela Lanzetta, che, quando mi hanno invitato, non hanno posto l'accento sulle minacce e sugli attentati che hanno subito, ma mi hanno solo chiesto attenzione per il loro territorio. Non voglio entrare nel merito della di Mria C. Lanzetta, per la quale tutti siamo tenuti al massimo rispetto. Quanto è accaduto, però, dimostra come sia complesso amministrare questa terra bellissima e difficile e quanto sia arduo mantenere la schiena dritta qui più che altrove e non essere lasciati soli. Quanto è accaduto di recente al sindaco di Nicotera, Francesco Pagano, contro l'abitazione del quale sono state sparate alcune raffiche di kalashnikov mi ricorda le scene cui ho assistito in passato nelle zone di guerra, in Paesi cioè che non riconoscono lo Stato di diritto. Non si può chiedere ai cittadini di essere eroi in un territorio in cui la presenza invasiva ed asfissiante della criminalità organizzata è un’autentica lesione dei diritti umani. Chi vive qui è un cittadino a libertà limitata. I problemi già gravi della Calabria sono resi più complessi dalla presenza della 'ndrangheta. So che nella regione, ed in particolare a Rosarno, molto è stato fatto dalla magistratura e dalle forze dell'ordine, ma sono consapevole che le azioni repressive da sole non basteranno mai senza una svolta culturale. 
Mi ha sempre colpito che in Calabria i quotidiani nazionali non hanno redazioni. Chi è esposto, invece, sono i cronisti locali, che mettono a repentaglio la loro vita per accendere i riflettori sulla regione. In questo senso è significativo il fatto che su quanto è accaduto al sindaco di Nicotera non ho trovato mezza riga sui giornali nazionali. 
La politica, in materia d’immigrazione, dovrebbe riflettere sulle parole di papa Francesco, che a Lampedusa ha parlato della nostra incapacità di piangere e di assumerci le nostre responsabilità. La politica dovrebbe anche uscire dalle contrapposizioni ideologiche, dal populismo e dall'utilizzo strumentale della materie migratorie, che devono essere governate con lucidità. Non si può non riconoscere che anche sul tema dell'emergenza immigrazione la politica ha avuto e continua ad avere responsabilità. Non è accettabile l'improvvisazione, né lasciare che i migranti vivano in condizioni disumane. Così come non è accettabile che i sindaci ed i cittadini della Piana di Gioia Tauro siano lasciati soli quando si occupano di immigrazione. Lo stesso atteggiamento di indifferenza che c'è stato nei confronti dei migranti è stato riservato ai giovani calabresi vittime della crisi economica e che sono facile preda della 'ndrangheta.
Proprio ieri la Commissione Giustizia della Camera ha approvato all'unanimità la riforma della norma sul voto di scambio, per la quale si è tanto battuto don Luigi Ciotti. Ci auguriamo che anche l'Aula dia lo stesso segnale.
Nella riforma, che lunedì arriverà in Aula si stabilisce che, perché si configuri il voto di scambio politico-mafioso non sia necessaria una dazione di denaro, ma anche ogni altra utilità. Sempre alla Camera sono state presentate due proposte di legge in tema di confisca di beni. La Camera ha già approvato, inoltre, l'istituzione anche in questa legislatura della Commissione antimafia. Questo per mettervi al corrente dei provvedimenti in tema di lotta alla mafia che sono all'esame della Camera. In un'economia debole come quella calabrese la criminalità organizzata ha mano libera. Contro questa tendenza bisogna rendere ancora più efficaci alcuni strumenti legislativi.
Non lasciamo sole le donne appartenenti a famiglie di 'ndrangheta che si sono pentite.
La Calabria ha visto nascere una primavera femminile che va sostenuta. Vanno valorizzati, dunque, i percorsi di chi ha dimostrato un grande coraggio decidendo di collaborare con la giustizia, pur provenendo da potenti famiglie mafiose.
(Laura Boldrini, 12 luglio 2013)

Così ha scritto infine, Boldrini, a conclusione della sua vista: 
oggi a Rosarno ho incontrato tanti uomini e donne coraggiosi, che hanno detto no alla ‘ndrangheta e per questo hanno dovuto rinunciare a buona parte della loro libertà. Non è pensabile che ciò che accade in Calabria passi quasi sempre sotto silenzio.. e intanto sparano 30 colpi di kalashnikov contro la casa di un sindaco, 44 contro i capannoni di un imprenditore.  Ma questa è anche la terra di sindache coraggiose e minacciate dalla ‘ndrangheta, come Elisabetta Tripodi a Rosarno, o di donne appartenenti a famiglie mafiose che si sono ribellate e ora collaborano con la giustizia, come Giusy Pesce. Era calabrese anche Lea Garofalo, uccisa a furia di botte e bruciata viva per aver collaborato, o Maria Concetta Cacciola che si è tolta la vita in seguito ai maltrattamenti subiti dalla madre, dal padre e dal fratello. Anche lei aveva collaborato con le forze dell’ordine. Insomma, qui in Calabria c’è una primavera tutta al femminile. A chi mi dice che è una primavera timida, rispondo: quale primavera non lo è? E comunque, incoraggiamole queste primavere. Tutto questo fa bene alla Calabria e all’Italia. E le istituzioni hanno il dovere di sostenere questi percorsi.
Boldrini ha anche ricordato la forte componente sessista che c'è nelle minacce alle donne sindache: "perché per un certo tipo di mentalità - come quella mafiosa - intimidire una donna è più facile. Ma non è vero. A loro voglio dimostrare vicinanza sia come donna sia come Presidente della Camera".

giovedì 11 luglio 2013

Solidarietà a Maria Carmela Lanzetta


Così la (ormai ex) sindaca di Monesterace: sarei pronta a ritirare le mie dimissioni se qualcuno fosse disposto a venire a fare l'assessore all'Urbanistica con me. Anche solo per un anno
Ma chi, nel rispondere, passerà dalla 'solidarietà' ai fatti? Ecco le ultime dichiarazioni su quelle dimissioni: 
Ora basta, non ce la faccio più. Sono stanca e delusa. Delusa dalla politica, da chi potrebbe fare molto e pensa solo alle strategie invece che ai problemi della gente. Non si può andare avanti così, schiacciati tra le parole vuote delle istituzioni e la 'ndrangheta. Dico basta perché sono profondamente delusa. Non ce la faccio più. Non si può amministrare in queste condizioni. Il Comune in dissesto finanziario, una burocrazia inadeguata, i tagli continui, al punto che anche cambiare una lampadina diventa un'opera titanica. E tutto questo a rischio della pelle. Cosa mi ha deluso di più? La politica innanzi tutto. Quando spararono alla mia macchina - l'anno prima mi avevano bruciato la farmacia - la politica ha fatto a gara per starmi vicino. È stata una cosa bella, ma io non chiedevo solo solidarietà, chiedevo che qualcuno si occupasse dei problemi dei piccoli comuni di frontiera. Non parlo solo di Monasterace, parlo di tutti. Chiedevo un aiuto alle realtà locali. Personale adeguato, sostegno tecnico. Invece niente. Nessuno che si sia occupato di noi. La politica ètroppo concentrata sulle grandi strategie, ma della gente? Dei problemi reali degli amministratori? Chi si occupa di questo? NESSUNO. Neppure la sinistra di cui faccio parte. La politica è avviluppata su se stessa. Lo scorso anno mi ero dimessa dopo l'ennesima intimidazione e poi cambiai idea. Stavolta non torno in dietro. Lo scorso anno non fu Bersani a convincermi, né la solidarietà di molti. Mi convinsi durante una riunione in Prefettura. Sentivo di essere un pezzo dello Stato a Monasterace. E non volevo deludere. Restai per senso di responsabilità. Ma non avrei voluto essere un sindaco speciale. Avrei voluto essere un sindaco normale, che fa cose semplici per la sua gente. Che amministra bene rispondendo a bisogni essenziali. Invece non è stato possibile, come non lo è per molti sindaci italiani che fanno gratis questo lavoro. Non ho mai preso un soldo dal Comune: con le retribuzioni ho pagato gruppi musicali, ho comprato le illuminazioni per Natale. E anche i soldi che mi dovranno essere liquidati da gennaio ad oggi ho chiesto che siano lasciati all'Ufficio tecnico. Io non voglio e non volevo niente. Solo una cosa: essere un sindaco normale. E credo che sia il minimo, visto che assieme a molti amministratori locali in Calabria, si rischia la vita. (Maria Carmela Lanzetta)

mercoledì 10 luglio 2013

Cara Boldrini, devo lasciare: Maria Carmela Lanzetta scrive alla Presidente della Camera

Il giorno 12 luglio l’Amministrazione Comunale di Monasterace avrebbe avuto il grandissimo privilegio di ricevere la Presidente Boldrini per un incontro con i Cittadini del Comune e del Comprensorio locrideo. Purtroppo si è verificata una circostanza amministrativa inattesa che mi costringe a rassegnare le dimissioni dalla carica di Sindaco. 
Dimissioni di cui ho informato l’Ufficio Stampa della Presidenza per correttezza istituzionale. Ho avuto il piacere e l’onore di essere ricevuta  dalla Presidente alla Camera dei Deputati, insieme ai Sindaci Elisabetta Tripodi e Gianni Speranza. Nell’occasione abbiamo  potuto esprimere le preoccupazioni per le difficoltà finanziarie che incontrano i Sindaci dei piccoli Comuni anche per le intimidazioni che subiscono e, soprattutto, per le condizioni disagiate del lavoro in Calabria che riguarda gli uomini, le donne e i giovani calabresi. In particolare ho potuto e voluto esprimere le condizioni difficili che stanno attraversando  le lavoratrici delle serre floro-vivaistiche, i cui terreni sono stati concessi con diritto di superficie  per 66 anni dal Comune di Monasterace  ad aziende private. Preoccupazioni che legano in maniera indissolubile Lavoro/Donne/Legalità/Rispetto delle Regole.
Di questo avremmo parlato con la Presidente il 12 luglio presso il giardino del Museo Archeologico. A tale discussione sarebbero intervenuti  donne dei sindacati, della confcommercio Calabria, delle cooperative sociali, del giornalismo, dell’Imprenditoria della Locride, delle Serre di Monasterace, dei precari della   pubblica amministrazione e del sociale; con inviti rivolti anche a uomini e donne delle istituzioni  e della chiesa.
Rinunciare  a questo incontro, già in fase organizzativa  avanzata, è per me una vera  sofferenza umana e amministrativa; ma l’esigenza di non derogare alla coerenza personale di valutazioni istituzionali  indirizzate a tenere la schiena dritta  per tutelare  il  nome  del mio Comune e della mia Amministrazione, mi hanno convinta a fare una  scelta dolorosa ma necessaria, di cui Lei, gentile Presidente, sono sicura capirà le ragioni.
Sono le ragioni dei principi che stanno alla base della mia esistenza umana, professionale e amministrativa: lavoro, giustizia sociale, cultura e rispetto dell’uomo e della donna in quanto tali. Principi che ho appreso dai miei genitori e da molti uomini e donne che hanno sacrificato  sacrificati la loro vita   per rispettare i principi su cui avevano fondato la loro esistenza. Purtroppo queste scelte, quando non vengono comprese, conducono anche a perdere le amicizie di una vita e al peso della solitudine, ma sono il pilastro su cui è possibile poggiarsi  per conservare la Libertà del proprio agire umano e amministrativo.
L’Italia è stata ed è ricca di figure che hanno illuminato e illuminano  la sua Storia. E’ necessario una svolta profonda, che è soprattutto culturale, per valorizzare le tantissime Persone coerenti, coraggiose e solidali che operano spesso e volentieri mettendo in gioco se stessi, in termini di impegno civile e, a volte,  anche economico, per raggiungere l’obiettivo del Bene Comune.
Grazie ancora Presidente. Spero comunque  di poterLa incontrare al più presto.
Maria C. Lanzetta, Sindaco di Monasterace
9 luglio 2013

mercoledì 29 maggio 2013

Difendiamo il Progetto Donna per la Regione Calabria: vogliamo il suo rilancio e i fondi necessari!

Apprendiamo, dal verbale del Coordinamento del Progetto Donna della Regione Calabria dello scorso 9 aprile, che la legge regionale n. 22 del 1995 istitutiva del Progetto Donna non è stata finanziata. Riportiamo fedelmente parti del verbale, affinché le cittadine e i cittadini calabresi siano correttamente informati su una decisione che riporta la Calabria indietro di decenni:
La coordinatrice Antonella Stasi comunica alle componenti del coordinamento che per l’esercizio finanziario 2013 la legge istitutiva del Progetto Donna non è stata finanziata, ciò  in un’ottica di spending review e di razionalizzazione della spesa. Pertanto informa il coordinamento che Progetto Donna è una norma destinata a scemare”.
La Legge Regionale del 19 aprile 1995 n. 22, istitutiva del Progetto Donna, nacque dalla volontà, diffusa tra le donne calabresi, di creare uno strumento legislativo che desse valore ai loro saperi, ai loro progetti. Nell’Articolo 1 della legge si afferma che “La Regione Calabria riconosce valore e dà visibilità al pensiero e alle attività delle donne calabresi e pertanto istituisce il Progetto Donna con sede presso la Giunta Regionale”.
L’articolo 2 sottolinea che “Il progetto Donna  si pone come espressione della soggettività politica delle donne calabresi, ne sostiene i diritti, ne evidenzia i bisogni, ne promuove i percorsi di libertà”.
Tutto questo e molto altro dall’alto valore simbolico e dall’importante valenza operativa, andrà a “scemare”, riprendendo il termine utilizzato dalla coordinatrice Stasi.
In questi anni, tanti sono stati gli ostacoli frapposti a questo strumento legislativo evoluto ed innovativo,  preso ad esempio dalle altre regioni italiane: già nel 1999 avevano tentato di cancellare la rappresentanza delle associazioni femminili, che la legge prevede abbiano un importante ruolo nella programmazione delle attività; ma l’indignazione fu tale che gli sciagurati consiglieri regionali che ci avevano provato non ci riuscirono. Nel tempo, hanno eroso e stornato i fondi destinati alla programmazione delle attività, ma pensare a una “chiusura definitiva della legge” e di snaturarne lo spirito, ridimensionando di conseguenza  l’agire delle donne, è un attacco senza precedenti!
Proprio nel momento in cui a livello nazionale si pensa di avviare azioni positive specifiche per fermare il femminicidio continuo e sempre più cruento, in Calabria si coglie l’occasione per fermare una legge voluta dalle donne e che negli anni ha concorso a realizzare nella regione centri di informazione, biblioteche delle donne, telefoni rosa, percorsi formativi d’eccellenza. Più di cento sono le associazioni femminili iscritte all’Albo regionale del Progetto Donna che hanno sempre difeso con impegno e  determinazione gli scopi fondativi della legge e che non si sono mai stancate di presentare proposte e progetti di genere.
Le rappresentanti delle associazioni femminili del Coordinamento del Progetto Donna, per i 4 settori d’intervento  informazione, cultura, lavoro e servizi,  con grande spirito di servizio hanno redatto e proposto le linee di indirizzo della programmazione delle attività da mettere a bando, così come prevede la legge, ma l’assenza della necessaria copertura finanziaria vanifica il loro impegno. Hanno lavorato  mettendo a disposizione gratuitamente le loro competenze, affrontando viaggi e costi senza ricevere alcun rimborso spese. Ciò nonostante non si sono mai stancate di  evidenziare ritardi e malfunzionamenti del Progetto Donna, hanno redatto documenti e lettere di protesta, ma è il momento che le cittadine e i cittadini calabresi  insieme si impegnino per difendere uno strumento legislativo importante anche per le future generazioni, affinché non si compia l’ennesimo femminicidio, questa volta simbolico, ma non per questo meno grave,  che uccide la speranza in tutte noi che le donne possano avere il giusto spazio e un ruolo attivo nella nostra società.
Per questo chiediamo a gran voce il rilancio del Progetto Donna e un'adeguata copertura finanziaria che renda operativa la programmazione avviata attraverso la pubblicazione di bandi pubblici a cui possano partecipare le associazioni di settore.
Le rappresentanti delle associazioni femminili calabresi 
le prime firmatarie:
Nadia Gambilongo Settore Informazione
Nella Mustacchio Settore Cultura
Margherita Gulisano Settore Lavoro
Rosalia Vigna Settore Servizi

lunedì 8 aprile 2013

Appello all'Università della Calabria: mantenete gli studi di genere!

Davvero per "mancanza di fondi" la prima cosa da tagliare sono corsi all'avanguardia, di cui l'Italia è gravemente carente e di cui, per degrado e arretratezza culturale, si sente più che il bisogno?
Pare di si: l'Università della Calabria proprio gli studi di genere, decide di dover tagliare!
E questo proprio nel momento in cui nei centri di ricerca seri i "gender studies" vengono sempre più incrementati: perché si comincia a comprendere che è proprio nelle relazioni di genere la chiave di tutti i problemi. A partire da tutti i fondamentalismi, che fanno ruotare le loro guerre proprio intorno al corpo della donna, ci avete mai pensato? Ma non solo.
E' una cosa a cui dobbiamo opporci, con tutte le nostre forze. 
Preghiamo tutt* di aderire a questo appello e di diffonderlo:

Il Corso di Studi di Genere dell’Università della Calabria, tenuto a Rende presso il Dipartimento di Sociologia dalla ricercatrice e docente Laura Corradi, non esisterà più perché hanno deciso di chiuderlo.
A dispetto del successo dello scorso decennio, frequentato da centinaia di studentesse, il Corso è stato via via rimpicciolito, nonostante la determinazione delle studentesse a seguirlo e della docente a tenerlo a titolo gratuito. Le studentesse denunciano che è stato piazzato alla stessa ora di altri appuntamenti importanti e obbligatori. Reso difficile da seguire si è ridotto quest’anno a 15 allieve. Tagliare via questo Corso come materia superflua è diventato così molto semplice.
Il Corso è stato una importante palestra di empowerment per tantissime ragazze, giovani femministe dottorande in cerca di audience, ricercatrici migranti, precarie ‘cultrici della materia’, tante persone che infatti non accettano passivamente questa decisione. 
Tra l’altro il Corso nel contesto calabrese rappresenta una reale opportunità per donne e uomini che vogliono acquisire gli strumenti critici per leggere anche la propria realtà.
Questo Corso di Studi dovrebbe rimanere una opportunità per coloro che lo preferiscono, anzi crediamo che gli studi di genere dovrebbero essere valorizzati, l’Università potrebbe usarli come corsi base del primo anno, come esempio di sapere teorico e pratico interdisciplinare, come visione critica necessaria di una cultura che fissa i ruoli di genere, patologizza le differenze o le inferiorizza, impone etero-normatività.
Chiediamo perciò che si reinserisca il Corso di Studi di Genere, con risorse adeguate, nell’offerta formativa dell’Ateneo.
5 aprile 2013

Scrivi anche tu all'Ateneo. Per adesioni scrivi a vogliamostudidigenere
QUI un approfondimento

mercoledì 27 febbraio 2013

Dopo lo tsunami 2013: cosa possono fare le donne?

Benvenute e benvenuti sul blog Politica Femminile Calabria. Che inauguriamo il giorno dopo le elezioni, con i suoi scenari profondamente mutati. 
Lo tsunami c'è stato, più prevedibile di quanto vadano dicendo in tanti! Bene, ripartiamo da qui. Pensiamo che sia sempre più urgente che le donne partecipino attivamente, e di più, alle sorti del Paese. Sui risultati elettorali c'è molto di che riflettere: e invitiamo tutte a farlo con noi anche attraverso lo strumento di questa rete-blog. Invitiamo tutte le donne calabresi attive in politica a esprimersi, qui, su questo blog, per tutto quello che concerne le questioni regionali... ma oggi è nato anche un blog nuovo su cui invitiamo a esprimersi tutte, ma proprio tutte, anche quelle che non hanno alcuna attività pubblica, e tantomeno giornali o blog su cui scrivere).
Riguardo alle elezioni: oltre a quelli noti sull'inedita configurazione delle forze in Parlamento, il primo dato che ci interessa è: quante donne? e quali? Perciò abbiamo fatto subito i conti: quante donne in Senato, quante alla Camera, quali percentuali, quante a seconda delle forze politiche, quante erano prima, e dunque quali sono gli incrementi. Trovate tutto a questo post.
Altri dati che ci interessano molto, sono quanti e quali gli impresentabili (per usare un termine eufemistico) siedono ancora in Parlamento. E su tutto la grande domanda: quali alleanze si creeranno, e verso quali direzioni, adesso? E soprattutto: in tutto ciò, cosa faranno le donne?

Chiediamo alle donne di non stare in disparte ma di provare ad incidere; per esprimerci meglio, ed entrare meglio in contatto fra noi, mettiamo a disposizione di tutte la nostra rete-blog che, sull'onda dei risultati elettorali, si è arricchita di un nuovo "punto nevralgico": un altro spazio politica femminile che va oltre le "regioni", in modo di poter essere comune a tutte, nato apposta per ospitare gli interventi di tutte le donne interessate a dare contributi: non solo blogger o politiche, ma anzi (oltre a queste!) il più possibile donne che non abbiano altri luoghi pubblici per esprimersi. Se siete fra queste, e avete qualcosa da dire, scriveteci qui: politicafemminile@gmail.com
Saremo felici di pubblicarvi.